VERONA – Passa tutto il tempo dell’ udienza, Gianfranco Stevanin, al processo che si è aperto ieri contro di lui, a fissare, in modo ossessivo, le due dattilografe, una bionda e una rossa, della Corte d’ Assise. Non è pentito, non prova rimorsi, l’ agricoltore trentasettenne di Terrazzo Veronese, accusato di aver violentato, seviziato, ucciso, tagliato a pezzi e seppellito nel suo podere sei donne: prostitute, tossicodipendenti, sbandate. Dice al suo avvocato, Cesare Dal Maso, che è innocente, che le ha amate quelle donne, che non voleva ucciderle, che gli sono morte tra le braccia mentre faceva l’ amore. Sesso estremo, violento, spinto ai limiti, anche oltre. “Mi sento come un animale in gabbia” brontola dietro le sbarre. E’ alto, massiccio, curvo nelle spalle, bocca larga e grandi occhi. Si è tagliato barba e capelli, si è rasato quasi a zero, e sulla testa mette in mostra una grande cicatrice curva, ricordo di un’ operazione dell’ 86, dopo una caduta con la moto. “Quell’ incidente gli ha sconvolto la vita” dice Noemi, la madre, che lo avrebbe aiutato a nascondere i corpi delle vittime, ed è indagata per concorso in occultamento di cadavere, insieme ad altre persone non ancora identificate. La donna lo difende, non ha dubbi: “Di quanto è successo, lui non si è mai accorto di nulla”. E il suo legale incalza: “E’ un soggetto malato”. L’ incidente con la moto gli avrebbe procurato delle crisi epilettiche. Ma secondo i periti che l’ hanno esaminato, e che da mercoledì cominceranno a confrontare in aula le loro tesi, Stevanin è lucido e sano di mente. La sentenza è attesa a fine mese.

 

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