Interrogati sei dei dodici militari coinvolti nell’inchiesta per concussione, abuso d’ufficio e falso ideologico. Il pm vuole la sospensione per tre di loro. Il gip si è riservato di decidere

VICENZA — «Eravamo in buonafede». Lo hanno detto martedì durante l’interrogatorio di garanzia davanti al gip sei dei dodici carabinieri di Dueville indagati per aver compiuto degli arresti di droga usando, viste le ipotesi di reato contestate, metodi non proprio ortodossi e «semplificando» le procedure di polizia giudiziaria. Il giudice delle indagini preliminari Stefano Furlani ha ascoltato i marescialli Giuliano Forlano, comandante della stazione, il vice Francesco Franzese e Paolo Speciale. Sono stati inoltre sentiti l’appuntato Vincenzo Abram e i carabinieri scelti Antonio Laricchia e Angelo Landolfa. Per questi ultimi tre il pm Luigi Salvadori ha chiesto la sospensione dal servizio. Il gip dovrebbe decidere nel merito entro lunedì. Assistiti dagli avvocati Gaetano Franzese e Marta Rossi i sei militari dell’Arma hanno ripercorso quanto accaduto il giorno in cui hanno arrestato gli spacciatori. Una ricostruzione durata ore per spiegare il loro modo di operare e le intercettazioni telefoniche della guardia di finanza impegnata in una diversa operazione antidroga che si è accavallata con le indagini condotte dai carabinieri di Dueville.

Intercettazioni che sarebbero alla base delle accuse rivolte ai militari che devono rispondere di concussione, abuso d’ufficio, falso ideologico e concorso in spaccio. I carabinieri hanno spiegato all’unisono di aver agito con un unico obiettivo: prendere i pusher che vendevano droga ai giovani e giovanissimi fra Dueville e Monticello Conte Otto, pusher di cui spesso i cittadini si erano lamentati. Questa era la loro unica priorità: farli smettere. I sei carabinieri, durante l’interrogatorio, hanno spiegato che, se hanno violato delle procedure, lo hanno fatto inconsapevolmente e non intenzionalmente. Si era aperta la possibilità di arrestare quegli spacciatori ed hanno allora cercato di capire velocemente come intervenire. Insomma se c’è stato qualche errore di procedura, c’è stato per il poco tempo a disposizione.

Tutto è iniziato quando i carabinieri per compiere quattro arresti fra il 3 e il 6 aprile scorsi, hanno agganciato un piccolo spacciatore per arrivare ad altri quattro trovati con 220 grammi di droga in tasca. Il ricorso ad un’esca, o agente provocatore come si dice in gergo, è un sistema previsto nelle indagini antidroga ma serve l’autorizzazione della procura, permesso che in questo caso non è stato chiesto. L’«esca» aveva il telefono sotto controllo e le conversazioni con i carabinieri sono state ascoltate dalla finanza che ha visto qualcosa di strano nel modus operandi e ha segnalato il caso. Un eccesso di zelo, per gli avvocati della difesa, procedure prese sotto gamba per la procura. «I nostri assistiti sono distrutti da questa vicenda, molto amareggiati – commentano gli avvocati – C’è forse stata una divergenza di opinioni sul modo di operare ma non facciamo alcuna critica alla procura»

R.Va.
30 novembre 2011

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