L’ereditiera dell’ex impero vicentino e quei 23 milioni in azioni mai riavuti «Bpvi disse sì, poi il muro e la rovina»

La storia di un rifiuto e dei successivi prestiti: Gaia Folco e i 60 milioni da restituire

di Emilio Randon

VICENZA Non solo «baciate», anche sbaciucchiate o solo tradite. Le più interessanti – le azioni sedotte e abbandonate – ci raccontano una storia vicentina di amori e odi ad alto tasso finanziario dove anche i ricchi piangono. Ai tempi del colera bancario non bastava essere amici di Gianni Zonin per avere indietro il controvalore delle proprie azioni in Banca Popolare di Vicenza (ora Banca Intesa), bisognava essere o avere qualcosa di più. Cosa esattamente se lo sta ancora chiedendo Gaia Francesca Folco, 39 anni, vicentina con domicilio a Lugano, erede del re della Lana Giancarlo Folco morto nel 2011 e titolare della Holding di famiglia (gestione pacchetti azionari, investimenti, eccetera), raggiunta in questi giorni da un pignoramento emesso del tribunale di Vicenza in favore della banca vicentina per un controvalore di 59 milioni 720 mila e 131 euro virgola 22 centesimi (59.720.131,33), praticamente tutto il suo patrimonio in asset e titoli (pacchetti Ima SpA, Swiss RE AG CHF, Allianz Se, Alibaba GRP ADS e Mps più 364.606 di azioni Bpvi).

La faccia lussuosa del disastro 
Nell’ufficio della sua villa-fortezza sulla sommità di Monte Berico, quello che Gaia Folco vede quello che dovrebbe rassicurarla: dalle pareti pendono una mezza dozzina di opere di Keith Haring – il pittore degli omini tremolanti, maestro della street art – ai prezzi attuali dovrebbero valere 4 milioni cadauno. Dalla balconata del parco può scorgere il cupolone del Palladio e, con un po’ di immaginazione, anche la sede di Bpvi in via Porti della quale possiede ancora 364.606 azioni. Più lontano, a est, persa nel latte dell’afa, c’è Montebelluna con Veneto Banca (ora Banca Intesa) presso la quale Gaia Folco detiene altre 475 mila azioni. Una montagna di soldi quando le prime valevano 62,5 euro e le seconde superavano i 40, un mucchio di carta straccia ora. E non occorre aggiungere altro. Gaia Folco è la faccia lussuosa del grande disastro veneto. Per tirare avanti – si fa per dire – ha appena venduto un Fontana. Lei è una Buddenbrook de noantri e la sua storia vale un capitolo di Thomas Mann, «bancarotta… è la cosa più atroce della morte». Come non bastasse, anche Veneto Banca le ha chiesto indietro i fidi, una ventina di milioni che, sommati ai 60 della Popolare vicentina, fanno 80. Infanzia a Brno (il papà sposò una ceca), scuole svizzere, lingue, educazione aperta e progressista, nel 2011, alla morte del padre, si trova proprietaria di una fortuna. «Allora non capivo papà, lo ritenevo cattivo, ora so che era solo avveduto e aveva ragione a comportarsi così ». Qualche investimento giusto, qualcuno sbagliato, tutto sommato la Folco Holding riesce ad attraversare i sette anni iniziati con Lehman Brothers e arriva ai giorni nostri ancora in piedi, a garanzia della sua solidità c’erano le azioni della Popolare vicentina e di Veneto Banca. C’erano, appunto.

Il bisogno di liquidità 
Tra il 2012 e il 2013 la Folco Holding ha bisogno di liquidità e chiede a Bpvi la vendita prima di un pacchetto di 164.606 azioni, poi delle restanti 200 mila per un totale di 22.787.875 milioni di euro. In via Porti le dicono di sì. Gaia aspetta fino al 27 maggio 2013, quindi, spazientita, scrive a Gianni Zonin: «Gentile dottore, abbiamo presentato domanda firmata per ricevuta dalla vostra filiale di Contrà Porti. Nostro malgrado il signor Peruzzo ci ha informati che non è stata presentata la nostra richiesta di cessione al Cda». Torna in via Porti, reincontra i dirigenti, parla con il direttore Samuele Sorato e il vice Emanuele Giustini, tra le altre cose si sente dire che «il funzionario si è dimenticato di passare l’ordine» e che «il fax non funzionava». Esorta ancora, sollecita, ma lei non vedrà più un soldo delle sue azioni. E tuttavia qualcosa in cambio ottiene: un fido di 60 milioni di euro a partire dal giugno 2013, questo è il nodo e il chiodo che la impiccheranno. Tre anni dopo, il 25 luglio 2016, dopo aver fatto le pulci al suo bilancio sociale, la Popolare di Vicenza si fa sotto con una intimazione: a fronte di 46.459.300,98 euro in az ioni lei ha uno scoperto di 58.456.630,47 euro, poiché nel passato esercizio la sua holding ha registrato perdite per 24 milioni, a integrazione le chiediamo il rientro immediato di 17.842.992,54 euro. «E’ il bue che dà del cornuto all’asino, una banca fallita per i 1,9 miliardi dice a me che sono sotto quando nel 2014 ho chiuso con un utile di oltre 5 milioni».

La guerra in tribunale 
Queste cifre torneranno a ballare in tribunale (la causa che doveva aprirsi il 24 luglio è stata rinviata, a difendere la Folco lo studio Carlo Edoardo Rocca di Milano e lo studio Cesare Dal Maso di Vicenza), cifre che cambiano con gli occhi di chi guarda: la Holding Folco è solida se il valore delle azioni Bpvi e Veneto Banca sono d’antan, è nelle peste se contano lo zero attuale. Questo il punto su cui si deciderà la battaglia legale: la finanziera vicentina – è la sua tesi – sostiene che se le azioni di sua proprietà fossero state vendute a tempo debito, come da lei richiesto e accettato dalla banca, lei sarebbe rientrata dallo scoperto e non ci sarebbe storia. Poiché la banca non le ha vendute, «è colpa sua» e «Bpvi ne deve rispondere». Al tempo in cui la Folco penava, i Dalli Cani della Valbruna venivano rimborsati per l’equivalente di 204.363 azioni (sei mesi dopo che la Folco chiese le sue), Caovilla per 160.000, Vimet per 198.400, Marcante per 253.523, Basile Rosario, Mirri e Dibbernardo per 159.009 ciascuno. Molti furono accontentati, lei no.

I pescecani
E ancora adesso non riesce a spiegarselo – «nuotavo in una vasca piena di pescecani, in Popolare e dintorni c’erano pesci più grossi e con denti più affilati dei miei» – certo che è l’unica azionista dell’ex Bpvi a non portare rancore nei confronti di Gianni Zonin: «Era un amico ed era in buona fede, credo». Nel racconto che ne fa l’ex presidente vicentino è un re senza terra, un generale circondato dalla sedizione a cui nessuno più ubbidisce. Nei primi mesi del 2016 Bpvi conservava ancora qualche parvenza di credibilità ma era già una zattera della Medusa, giorni in cui Zonin andava alla ricerca affannosa delle 63 lettere di impegno a ricomprare firmate agli azionisti e non le trovava. «Giustini (vice di Sorato, ndr) si rifiutava di consegnarmele». «Non erano state ancora trovate», replicava Sorato. Al telefono brigavano per il rientro dei fondi lussemburghesi mentre veniva giù tutto tanto che il presidente Zonin si risolve, prende per la giacca Sorato e gli dice: te ne devi andare, per il bene della banca. «E adesso che lavoro faccio»?, replica lui. «T’aiuto io a trovare un posto» rassicura il presidente (come da intercettazioni telefoniche). Gaia Folco Fruga tra le carte e i documenti sparsi sulla scrivania, sposta il chiwawa che ci scorrazza sopra, e finalmente trova quello che cercava: «Ecco la ricevuta di accettazione della mia richiesta di vendere». La guarda ancora, poi la lascia cadere e sembra disinteressarsene: «Sono stanca di questa storia, a settembre venderò la casa per farne un centro per anziani, ma prima indirò un’asta e venderò tutte le opere, donerò il ricavato a chi non ha più nulla».